La canzone d’autore è probabilmente una delle più alte forme di arte del nostro Paese. Dico sul serio.
Pensateci: non esistono tanti cantautori come in Italia. Ma non è solo un discorso legato alla quantità: la canzone d’autore è una vera e propria “forma” artistica, al pari della pittura o della scultura, e noi italiani tendiamo a usare quella, perché è quella che conosciamo meglio. Del resto mentre nell’800 in tutta Europa si sfornavano romanzoni, magari pubblicati a puntate sulle riviste (quindi popolari, come Dostoevskij) da noi esisteva e fioriva il melodramma.
Ancora oggi molti anziani semi-analfabeti, in Italia, conoscono a memoria le arie della musica lirica. E, insomma, qualcosa vorrà dire.
Insomma, una cosa del nostro DNA culturale. E, come tutte le vere forme d’arte ha avuto i sui precursori, i suoi innovatori, i suoi maestri, le sue correnti, le sue contaminazioni, le sue forme manieristiche, le sue scuole, i suoi momenti minori, le sue piccole rivoluzioni. I suoi dissidenti, i suoi eretici e i suoi cani sciolti.
La canzone melodica, legata ancora al mondo della lirica, (C. Villa, N. Pizzi) cede il passo agli urlatori (il clan di Celentano ad esempio), alle contaminazioni beat (C. Caselli) mentre c’è chi la modifica “dall’interno” usando gli stessi canoni melodici portati all’estremo per andare oltre, molto oltre, arrivando al jazz (L. Tenco).
La stessa Mina prende un brano cantato melodicamente da Jonny Dorelli (“Nessuno, ti dico nessuno”) e lo trasforma, lo stravolge, lo rende assmilabile alla nuova generazione, in uno scisma che si consuma dolcemente. Fioriscono le contaminazioni territoriali (De Andrè con Brassens, Gaber con Brel) e artistiche (Guccini che utilizza il dolce stil novo, ancora De Andrè che pesca nella narrativa americana, Gaber che pesca a piene mani dalla filosofia contemporanea e gioca con la psicanalisi..)
Insomma, un gran casino. Ora se è questa è una forma d’arte deve avere un suo linguaggio. Qual è il linguaggio della canzone d’autore? La musica spesso è derivata da altre forme (dal beat, dal rock, dal country, dalla musica lirica, dal progressive anglosassone) e quanto alle parole…avente mai provato a leggerle senza musica?
– Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare
– E scappò via con la paura di arrugginire, il giornale di ieri lo dà morto arrugginito
– Mi guardo intorno e sono tutti migliori di me
– Ti cerco un po’, prendo una birra, e un altro po’ d’amore se ne va
– E che ridicolo che è incontrare i loro volti: “come va, che stai facendo”, ti dicono ridendo
– Un gran senso di vita, vorresti fermarlo, ma è tardi. E’ già tra i ricordi
– Atrii a piastrelle di stazioni secondarie
– Tu con le tue bianche mani, sembri un sogno lontano, ma sei come le altre
Beh, non è la stessa cosa..E ho usato alcuni tra i versi più belli che io conosca. In realtà la canzone d’autore resta un mistero, che si può svelare, secondo me, solo se facciamo riferimento alla cultura orale, ovvero ad una cultura dell’evento, contrapposto all’oggetto. Walter Benjamin parlava in un suo famoso saggio, della perdita dell’aura nell’opera d’arte, ad opera della sua riproducibilità tecnica.Ecco, la canzone d’autore è, e resta, al di là della sua riproducibilità, piena di “aura”, nel senso di Benjamin.
Buon ascolto.