Perché facciamo quello che facciamo (qualsiasi cosa sia)? Aristotele, nella sua infinita e puntigliosa saggezza, individuava quattro cause. Senza entrare nei dettagli, diciamo che al buon peripatetico interssava meno ci che ci spinge (le necessità) che ciò che ci attira (la finalità). Ogni cosa si muove secondo un suo percorso finale (entelechia) a cui tende, necessariamente.
Ma veniamo a noi. La collega del piano di sotto è di una bellezza insostenibile. Qualcosa che toglie il fiato e ci rende tutti dei bambini balbettanti.
Non solo: la collega del piano di sotto è anche intelligente, simpatica, onesta. Le piace la musica rock. E’ modesta, giocherellona e alla mano. E non ha la testa piena di puttanate. E’ anche una persona sensibile, che sogna e crede nell’amore. Insomma è una veramente a posto, nonostante la sua bellezza oltre ogni limite di sopportazione umana, nonostante i suoi occhi siano capaci di incenerirti all’istante.
La collega del piano di sotto mi provoca, generalmente, balbuzie, arrossamenti, ipercinesi, dislessia, logorrea, catatonia, tremori, sudorazione, sdoppiamento dell’io, visioni mistiche, tachicardia, gelo, regressione filogenetica, vampate, innalzamento del livello di endorfina, adrenalina, serotonina e di altri cinque o sei neurotrasmettitori. Il tutto si manifesta sotto forma di indifferenza generalizzata e saccenza proto-adolescenziale (che pirla…).
Come è giusto che sia, la collega del piano di sotto è ignara di tutto questo. La collega del piano di sotto è in azienda da qualche anno, ma sono riuscito a parlarle solo di recente. Una conquista.
La collega del piano di sotto è l’unica giustificazione sensata della mia permanenza in quel posto. Ed è l’unica giustificazione sensata di un sacco di altre cose.
Qualcuno, in azienda, dice che faccio cose carine, professionali e utili. Ne sono lieto. Ma devo confessare che tutto quello che faccio, lo faccio per la collega del piano di sotto, come un bambino che mostra alla mamma quanto è bravo ad andare sui pattini.
Se devo dire la verità non sono neanche sicuro che esista, la collega del piano di sotto. Forse l’ho costruita io nella mia mente, per costringermi ad andare avanti. So solo che quando immagino qualcosa, la intranet, un progetto online, un’iniziativa di comunicazione, qualcosa insomma, ecco, penso sempre a cosa ne direbbe la collega del piano di sotto. Meno male che i dirigenti non se ne sono ancora accorti.
Il buono, onesto e saggio Immanuel Kant parlava di spazio e di tempo come categorie trascendentali, ovvero come elementi soggettivi che rendono possibile l’esperienza. Il buono, onesto e saggio Immanuel Kant si sbagliava: se avesse conosciuto la collega del piano di sotto avrebbe incluso anche lei tra gli elementi soggettivi che rendono possibile l’esperienza. Mi dispiace Immanuel, ma l’esperienza, senza di lei, sarebbe una cosa vuota, piatta, anonima. Anzi, non ci sarebbe proprio.
Qualcuno dirà: ok, ti sei preso una sbandata per la collega del piano di sotto. Niente affatto. Si può prendere una sbandata per la terra che abbiamo sotto i piedi? Per l’aria che respiriamo? Per i nostri pensieri? Solo un folle mistico potrebbe, e io non sono un folle mistico. Sono un povero ragazzo troppo cresciuto, rapito da cose che non ha deciso, ma da cui è stato scelto.
Ciao, collega del piano di sotto.