E’ tempo di tornare al lavoro, ma non prima di avervi regalato una bella citazione da uno degli ultimi lavori di Zygmunt Bauman, “Intervista sull’identità“, un libro piccolo ma preziosissimo, illuminante e profondo come tutti i suoi lavori. Tra le righe, e nemmeno tanto, si parla anche di noi blogger e delle comunità virtuali, ma il libro va molto al di là, affontando i problemi relaitivi alla crisi dello stato-nazione e al crescente bisogno di appartenenza non soddisfatto dai tradizionali meccanismi sociali propri delle “società della prossimità”. Buona lettura
I luoghi in cui era tradizionalmente affidato il sentimento di apartenenza (lavoro, famiglia, vicinato) o non sono disponibili o, quando lo sono, non sono affidabili, e perciò quasi sempre incapaci di placare la sete di socialità o calmare la paura della solitudine e dell’abbandono.
Di qui nasce la crescente domanda per quelle che potrebbero essere chiamate comunità guardaroba, quelle comunità che prendono corpo, anche se solo in apparenza, quando si appendono in guardaroba i problemi individuali, come i cappotti e i giacconi quando si va a teatro. L’occasione può essere fornita da qualsiasi evento scioccante e superpubblicizzato: un’eccitante partita di calcio, un crimine ingegnoso o efferato, o un matrimonio, un divorzio o altra sventura di una celebrità in quel momento alla ribalta. Le comunità guardaroba vengono messe insieme alla bell’e meglio per la duarata dello spettacolo e prontamente smatellate non appena gli spettatori vanno a riprendersi i cappotti appesi in guardaroba. Il loro vantaggio rispetto alla “roba autentica” sta proprio nel breve arco di vita e nella trascurabile quantità di impegno necessario per unirsi ad esse e godere (sia pur brevemente) dei loro benefici. Ma tra queste comunità e il calore sognato e la comunità solidale c’è la stessa differenza che corre tra le copie in serie in vendita nei grandi magazzini e gli abiti originali dei gran di stilisti…
Zigmunt Bauman – Intervista sull’identità – Laterza