L’opera d’arte, si sa, è il composto indissolubile della produzione individuale e dell’infinita serie di letture che essa inaugura a partire dal suo prodursi. Non si darebbe opera se non esistesse una serie infinita di interpreti disposti ad assegnargli, di volta in volta, nuovo senso e nuova vita. L’evento artistico è, in questa prospettiva, una condizione “a posteriori”, che si realizza attraverso gli occhi di generazioni di interpreti estetici. In questo senso risiede la sua “polisemia”, ovvero la sua capacità di produrre nuovo senso. In questo senso la sua, diciamo, eternità. E’ successo per Platone, è successo per Dante, è successo per i pittori fiamminghi. Beh, sta succedendo anche per Rino Gaetano.
Raccolte di canzoni, festival alla memoria, gruppi che ne eseguono i brani. Articoli, rassegne, eventi. E tanta simpatia intorno ad un cantautore calabrese che ha vissuto una brevissima stagione di successo interrotta bruscamente dalla sua prematura scomparsa. Rino Gaetano è uno degli autori più creativi e misteriosi prodotti dal nostro laboratorio nazionale: non tanto per il contenuto specifico della sua opera ma, come dicevamo e come spesso avviene nel campo della storia dell’arte, per l’ambigua quanto altalenante vicenda della sua fruizione e della sua “lettura”. Incompreso, ignorato, compreso male, difficilmente schematizzabile, rivalutato, osannato, consacrato. Non si sa ancora se di destra o di sinistra, se populista o aristocratico, cantava, o meglio gridava, in una romanità posticcia storie di vita del suo tempo (la fine degli anni ’70) alternando cultura alta e bassa, visioni globali e patemi locali, frammenti di vita e biografie immaginate, Storia e cronaca in una paratassi artistica difficilmente dominabile. Oppure comprensibilissima.
Ci domandiamo allora perché sentiamo cosi vicino a noi questo cantautore così calato nel suo tempo eppure così distante, così popolare e così aristocratico, così allegro anche se sentiamo, in questa allegria, come un eco tragico e contraddittorio. La risposta, a mio avviso, sta in un concetto che nasce all’interno della storia dell’arte ma che si è allargato fino a diventare una categoria concettuale potente. Un concetto che più volte abbiamo avocato in questo blog, ovvero il concetto di postmodernità.
Rino Gaetano è un autore profondamente post moderno: lo è nello stile, nelle sue intenzioni, nei suoi effetti. A questo proposito riporto, prendendolo da un bell’articolo in rete (presente anche una buona bibliografia) i caratteri principali attribuibili alla postmodernità, rispetto al cosiddetto “modernismo”:
Modernismo – Postmodernismo
romanticismo/simbolismo — patafisica/dadaismo
forma (congiuntiva,chiusa) — antiforma (disgiuntiva, aperta)
finalità — gioco
progetto — caso
gerarchia — anarchia
controllo/logos — finimento/silenzio
oggetto d’arte/opera finita — processo/performance/happening
distanza — partecipazione
creazione/totalizzazione/sintesi — decreazione/decostruzione/antitesi
presenza — assenza
concentrazione — dispersione
genere/confine — resto/intertesto
semantica —retorica
paradigma — sintagma
ipotassi — paratassi
metafora — metonimia
>selezione — combinazione
radice/profondità — rizoma/superficie
interpretazione/lettura — controinterpretazione/fraintendimento
significato — significante
leggibile — scrivibile
narrazione/grande histoire — anti-narrazione/petite histoire
codice principale — idioletto
sintomo — desiderio
tipo — mutante
genitale/fallico — polimorfo/androgino
paranoia — schizofrenia
origine/causa — differenza-differenza/traccia
Dio Padre — Spirito Santo
metafisica — ironia
determinatezza — indeterminatezza
trascendenza — immanenza
Gioco, caso, anarchia, partecipazione, decostruzione, antitesi, paratassi, metonimia, significante, ironia, indeterminatezza…Pensate a canzoni come “Berta filava”, “il cielo e sempre più blu”, “nunteregghepiù”, “Sfiorivano le viole” e molte altre.
Rino Gaetano è, nella sua intera proposta artistica, uno squarcio postmoderno nella tarda modernità della canzone d’autore italiana, con tutte le conseguenze ermeneutiche che questo ha comportato e comporta tuttora da parte dei suoi lettori .
Rimane un quesito aperto: è possibile, per una sorta di proprietà transitiva e metonimica delle culture, attribuire a tutto quello strano periodo che furono la fine degli anni 70 nel nostro paese una caratteristica complessiva di postmodernità? E, se sì, la sua riscoperta in questi anni, in quanto moda svuotata di significato, non rappresenta forse una sorta di paradossale nemesi storica?