Le aziende sono morte, ma ancora non lo sanno, e fanno i business plan come se nulla stesse succedendo. Ma restano dei morti. Le aziende sono morte e nessun patto con il diavolo, nessun mesmerismo organizzativo potrà resuscitarle. Non fatevi ingannare dei professionisti che parlano al telefono in modo concitato e serio mentre timbrano il cartellino, guardate più in là delle donne con il tailleur e il pc portatile che parlano al telefono sul Pendolino, esaminate in filigrana i consulenti con il vestito nero, la camicia bianca e le scarpe a punta. Andate oltre le pubblicità e il marketing che ci informa che “tutto è intorno a noi”. Provate a leggere in controluce i loro comunicati stampa. Sono tutti morti che camminano.
Le aziende sono morte da tempo, con tutto il loro apparato da guerra. Con le loro piramidi infinite, con le loro cordate, con i loro manager che parlano senza sapere che cosa stanno dicendo sulla pelle di migliaia di persone con un brivido di sudore freddo, con i loro progetti senza capo né coda, con le loro slide, con le loro parole d’ordine che nessuno ha mai seguito, con i loro house organ, i loro comunicati falsi, con i loro capi incompetenti e presuntuosi, con i loro dipendenti di cui si sono sempre fregate, con la loro sensibilità da schiacciasassi, con i loro dirigenti con la quinta elementare che bacchettano i loro collaboratori plurilaureati, con il loro tran tran che poco a poco ti svuota dentro, con la loro arroganza, con la loro viltà, con la paura folle che governa tutte le loro scelte, con la loro ipocrisia che ci contamina tutti, con i loro talenti che scappano, con i loro mediocri che invece restano, con i loro impiegati che resistono, con i loro aspiranti manager che aspirano senza respirare. Con la loro impunità. Con la loro incapacità genetica di sviluppare il meglio di ciascuno di noi. Con le loro procedure, con i loro riti stanchi, con le loro ricorrenze stantie, con la loro meschinità, la loro disgustosa prudenza, con il loro invischiarsi, con il loro invischiarci. Con il loro infischiarsene, con la loro folle corsa al ribasso, con il loro linguaggio ottocentesco, con i loro sprechi, la loro miope e tristissima visione d’insieme, con la loro ideologia disgustosa, con il loro “orientamento al cliente” che non hanno mai voluto conoscere, con la loro “trasparenza” che si guardano bene dal praticare, con la loro “velocità” e “efficienza” di cui si infischiano.
Tra vent’anni al massimo tutto questo non esisterà più. Ma non li sentite gli scricchiolii, non avvertite gli spifferi dai quali sta entrando quel vento gelido che si chiama di volta in volta lavoro immateriale, rete, economia cognitiva, gestione dinamica della conoscenza e soprattutto quella cosa che si chiama mercato, così dannatamente distante dal fantasma immaginato nelle stanze dei bottoni che governano questi dinosauri che si chiamano aziende. Ma non sentite il lamento di decine, di centinaia di migliaia, di milioni di persone che sono stufe di essere trattate come minorati mentali, che vogliono decidere, che vogliono mettersi in gioco, che vogliono fare, finalmente, le cose come vanno fatte?
So a che cosa state pensando: ma come faremmo senza le aziende? Chi ci darà tutti i prodotti e i servizi che ci allietano la vita tutti i giorni? Come faremo a sopravvivere senza un sistema di produzione? Pensateci un po’ su: tutto questo oggi esiste nonostante le aziende e non grazie ad esse. L’innovazione e la capacità di produrre qualche cosa di nuovo non nascono dentro le aziende: si insinuano, semplicemente, nelle loro maglie. Sono in realtà dei sottoprodotti di un prodotto principale che si chiama autoconservazione, ogni giorno sempre più difficile.
No, non resisteranno, non c’è alcun motivo plausibile che giustifichi la persistenza di un dispositivo che produce così tanta insoddisfazione all’interno e così tanta inefficienza all’esterno.
Le aziende moriranno: se ne andranno così, semplicemente, senza clamore, come una cosa naturale. Si scioglieranno come neve al sole e a noi rimarrà solo il vago ricordo della loro patetica presenza. Ci ricorderemo di loro come di una coda in autostrada: oppressiva e senza scampo finché ci siamo dentro, assolutamente inutile e gratuita una volta sciolta.
Non possiamo sapere che cosa le sostituirà: forse qualche forma di cooperazione locale, forse un mondo di liberi professionisti collegati tra di loro, forse il ritorno a qualche forma di artigianato diffuso. Quello che so è che qualsiasi forma prenderà il lavoro quando avremo seppellito questi mostri produttori di infelicità e frustrazione sarà dominato dalla passione, dal sogno, dal gioco, dalla cooperazione, dalla voglia di fare qualche cosa di buono e dal desiderio di essere padroni del nostro sapere.
Quello che so è che le aziende, queste aziende, sono un prodotto umano, che ha avuto un inizio e avrà una fine. Le aziende non sono la migliore delle organizzazioni possibili, e mai come oggi si sente il bisogno di una nuova utopia capace di immaginare che cosa accadrà.
Non sappiamo quando, non sappiamo in che modo, ma accadrà.
P.S. Per qualche mistica ragione, parte della discussione su questo post si è svolta qui. Siccome sappiamo che in Rete il testo è formato da: testo + link + arricchimenti + discussioni, lo riporto per completezza.