Una delle attività più alte di un uomo, almeno da Aristotele in poi, è quelle di saper classificare le cose in insiemi di cose, e di saper quindi attribuire delle proprietà agli enti. Questa è un’attività in senso proprio filosofica, perché concerne unicamente i concetti e le loro relazioni reciproche.
Bene, quest’attivtà, che ha sempre trovato solidi sostegni pratici nella tradizione e nelle abitudini classificatorie proprie di ogni disciplina, è stata in questi anni messa a dura prova dal web: come classificare i contenuti? Che cosa appartiene a che cosa? Come etichettare questi insiemi? Insomma, come fare un menù di navigazione decente? Un vero rompicapo.
Oggi questo rompicapo, irrisolvibile secondo parametri, diciamo “tradizionali” del meodo “fisico” di classificare le cose (come in biblioteca) sembra trovare una soluzione, che usa la natura stessa della Rete per risolevere un problema che nella Rete stessa ha trovato la sua espressione più matura: la classificazione a faccette. Leggete, è interessante.
La cosa, assolutamente nuova se guardiamo al modo tradizionale di disporre gli oggetti in un insieme, è in fondo di una banalità sconcertante se consideriamo il mondo digitale (e il linguaggio XML in particolare): ogni oggetto appartiene a diversi insiemi ed è classificato in insiemi diversi secondo il grado di maggiore o minore pertinenza a questi insiemi. Si chiama classificazione mutlidimensionale.
Certo, a pensarci è una cosa ovvia: la bottiglia di Vino è classificata per annata, regione, colore ecc…Ma, a pensarci bene, ci sono volute ben due rivoluzioni perché accettassimo queso fatto come un fatto ovvio: la smaterializzazione dei dati, prorpia della clutura digitale, e la relativizzazione delle nostre gerarchie e categorie, propria della clutura post-moderna. Solo i filgi di queste due rivoluzioni potranno godere di questa multidimensionalità senza sentirsi in imbarazzo né, tantomeno, sensa sentire di avere tradito qualche cosa.