“Non è una questione di tecnologia”. Chi di noi non si è mai trovato ad ascoltare, a profferire o a discutere di questa affermazione? E’ una frase talmente sentita che Andrew McAfee ne ha creato un acronimo (INATT – Is not about the technology).
Ma sarà poi vero? Per Andrew c’è un senso in cui l’affermazione è vera – ma banale – (quello in cui si afferma “non è una questione solo di tecnologia”) e un senso in cui è realemente interessante – ma falsa e pericolosa (quello in cui si afferma “i dettagli tecnologici possono essere tranquillamente ignorati in questo contesto di discussione”).
Il post vale la pena perché va contro ad alcuni luoghi comuni che io stesso mi sono trovato a frequentare (e a propagare).
Il fatto indiscutibile sul quale concordo con Andrew è che le tecnologie vanno frequentate assai, prima di poter concentrarsi sugli aspetti veramente rilevanti (le persone, i meccanismi di governance, la conoscenza prodotta ecc). Se usiamo le tecnologie come bacchettta magica (ed è l’uso a cui cerca di rispondere il primo senso di INATT) ovviamente faremo un buco nell’acqua. Ma se le consideriamo al contrario fattori totalmente ininfluenti ci ritroveremo con utenti che la penseranno allo stesso modo.
Ma c’è un punto sul quale non sono d’accordo con Andrew, ed è nel considerare banale, almeno in Italia, il primo senso di INATT (ovvero quello che dice “non è una questione solo di tecnologia”). Forse dalle sue parti sarà banale, ma qui da noi ci sono ancora fior di progetti che nascono sulla spinta di tecnologie ritenute “magiche” (e col 2.0 si sono fomentate ancora di più).