Stamattina, assieme a Cristiano, ho fatto una puntata allo Knowledge Box – Spring 2008, una conferenza periodica (ultra sponsorizzata) dedicata ai temi del rapporto tra tecnologie e condivisione della conoscenza. Finalmente ho potuto sentire dal vivo Mariano Corso che parlava dei risultati della ricerca sull’Enterprise 2.0 nelle aziende italiane.
Non farò una sintesi di quello che è stato detto: mi limito a ribadire una cosa che mi ha sempre colpito di queste ricerche, ovvero il profondo distacco che riescono a delineare tra la luminosa prospettiva di intranet (e aziende) collaborative e l’oscura realtà di aziende impreparate, impaurite, disincantate.
Questo distacco tra ciò che sarebbe bello fare e quello che in realtà ci troviamo a maneggiare è vissuto, in genere, senza il minimo imbarazzo e di questo mi sorprendo sempre.
A volte è come se chi si occupa di queste cose (consulenti, venditori di tecnologia, ricercatori) avesse costruito un proprio luminoso mondo dove tutto questo funziona a meraviglia e se nella realtà le cose non vanno come si sperava beh, tanto peggio per la realtà.
Ora, la domanda è questa: perché mai, se queste tecnologie sono così promettenti nella gestione della conoscenza, esse vengono spesso prese con sufficienza quando non apertamente osteggiate nelle aziende?
Ne ho parlato spesso su questo blog, e oggi vorrei provare a sintetizzare alcune riflessioni, che derivano dalla mia esperienza sul campo di persona che a volte si trova a lavorare con altre persone che sono già passare per stuoli di consulenti, ricercatori, venditori di tecnologia e che in genere ne ha le tasche piene.
Ponti cognitivi
Le persone sono abituate a lavorare in un certo modo. Mandano fax, si scambiano una valanga di mail, usano delle procedure sedimentate nel tempo, mettono i documenti nei dischi di rete. Le persone sono ostili ai cambiamenti, anche quelli che nelle nostra testa sembrano dei cambiamenti fichissimi. È Così.
Quando le persone snobbano i nostri nuovi sistemi spesso è perché non riescono a farsene una adeguata mappa mentale, non sono capaci di tradurli nel loro repertorio e di appropriarsene in modo pertinente. Noi diciamo “social network” e loro hanno in mente la rubrica del telefono. E noi dobbiamo saper tradurre questi linguaggi. Siamo pronti a farlo?
Se le tecnologie non favoriscono dei ponti cognitivi tra il vecchio e il nuovo esse rimarranno, per i più, un mistero o un gioco da mentecatti. Ecco perché i wiki, con buona pace di Mariano – ciuffo ribelle – Corso, restano un oggetto ambiguo, complicato e per ora confinato ad alcune elite professionali interne. Ecco perché i feed RSS restano una sigla da smanettoni fino a che non mostriamo alle persone come funzionano e che cosa possono fare per loro.
Ed ecco perché, al contrario, i blog tendono in media a funzionare meglio ed in modo più immediato: hanno un’interfaccia simile a Word e il risultato e simile alle news. Tutti oggetti, questi ultimi, familiari per la maggior parte delle persone.
Persone
Le intranet collaborative sono fatte dalle persone per le persone, e dobbiamo partire da loro. Attenzione: partire dalla persone nella progettazione di questi sistemi non significa intervistare quattro capetti e distribuire enigmatici questionari al personale, ma coinvolgere le persone – il maggior numero di persone, se non tutte – nel processo di creazione e modellazione dello spazio. Capire i bisogni, individuare i contenuti, stimolare le idee, analizzare i flussi di lavoro, capire le difficoltà, valutare i diversi contesti, suggerire soluzioni, costruire e testare collettivamente l’oggetto sulla base degli input che arrivano.
Una fatica nera.
E fate attenzione che alla “sora Lella” non vado a chiedere se userebbe il wiki o la tag cluod, ma quali sono le principali difficoltà che incontra nel rapporto con le informazioni e la conoscenza, come interagisce con il resto dei suoi colleghi, quali sono che cose che sente di poter dare al progetto, per progettare poi assieme a lei un percorso che non ho definito io a priori.
Utilità
Se le persone non usano i nostri nuovi sistemi forse è perché non hanno capito la loro utilità Le persone useranno questi sistemi solo se percepiranno un’utilità immediata e tangibile. Non useranno il wiki perché è fico ma perché gli risolve i problemi. E così via per tutto l’armamentario degli oggetti 2.0. Il lavoro allora non è tanto di “introdurre” queste tecnologie, ma di essere capaci di “tradurle” in modo da supportare la realtà dei processi aziendali. Questo lavoro di traduzione è il vero valore aggiunto che consulenti e ricercatori possono fare per le imprese e i loro dipendenti.
Notate che, se fate bene questo lavoro, il risultato finale sarà sempre qualche cosa di molto diverso da quello che avevate in testa all’inizio.
Appropriazione
Come ho già detto più volte, le tecnologie sono degli oggetti non deterministici. Neanche il 2.0, che sembra promettere mari è monti, è in grado di determinare, per la sua sola presenza, cambiamenti di un certo tipo. Le tecnologie, ogni tecnologia, vive in una tensione continua con le strategie di appropriazione dei gruppi ai quali si rivolge. Questo significa che ci potranno essere sorprese: a volte il blog non funziona ma il forum si popola di messaggi. Perché? Questione di tecnologie? Questione di persone? Ogni tecnologia sussurra qualcosa, ma sono le persone che la fanno parlare in un modo o in un altro.
Se abbiamo capito questo cominceremo a guardare i gruppi di utilizzatori più che le piattaforme e progetteremo adattivamente sulla base delle linee di demarcazione naturale del territorio aziendale.
Cultura
Fare la intranet collaborativa è una scommessa culturale, e chi si accosta a questi progetti pensando solo al lato tecnologico o al lato metodologico si scontrerà di fronte a stranissimi muri di gomma. Se volete che queste cose funzionino dovete cominciare a pensare a che cosa significa, dal punto di vista culturale interno, valorizzare i talenti e i contributi individuali, aprire e rendere visibili i flussi di conoscenza, supportare i gruppi informali. Questi cambiamenti richiedono una visione più ampia degli elementi in gioco, ed esigono attori consapevoli che sarà una lotta su più fronti.
Per questo non mi basta IT. Per questo non mi bastano i settori operativi.
Risorse Umane
Mi dispiace ribadirlo, ma i settori che si occupano di “Risorse umane” non possono restare fuori dalla partita. La partita li riguarda, eccome. Se pensate di fare queste cose ignorando H.R. perché sono dei vecchi parrucconi vi sbagliate di grosso: li dovete avere come alleati e se avete la possibilità di fare un patto col diavolo ecco, questa è l’occasione. H.R ha i contenuti, ha la visibilità, ha le leve e, a ben guardare, gli obiettivi più nobili di un settore H.R sono gli stessi che avete voi,.
E soprattutto, lavorare con la sorda ostilità di quelli del Personale è la via più sicura per ritardare o affossare il progetto.
Sperimentazioni
I settori non sono tutti uguali, e le attività interne sono spesso eterogenee quanto a modi e strumenti. È ovvio che ci siano delle elite professionali (come IT) e che alcuni settori siano più predisposti di altri all’introduzione dei nuovi sistemi. Non mi aspetto che un’organizzazione agisca come un’unità compatta, ma che ci siamo alcuni pionieri che fanno da apripista. Grazie al lavoro di questi pionieri l’organizzazione comincia ad “assaggiare” alcune sperimentazioni, che faranno da “motore” per il resto dell’organizzazione. il lavoro di progettazione è quindi sempre pulviscolare, e dobbiamo accettare questo livello della sfida.
È l’ambiente organizzativo che seleziona, quasi darwinianamente, i suoi “champions” i quali avranno l’ingrato compito di portare avanti, a volte in modo solitario, alcuni progetti. In genere il loro destino è di non essere capiti e poi, una volta che il progetto ha avuto successo, di non essere ricordati (Roby, spero che a te vada meglio eh…)
Il lavoro inoltre si sviluppa nel tempo, e quello che nasce al tempo x si sviluppa in una nuova direzione al tempo y. Ecco perché i sistemi devono essere flessibili. Ecco perché dobbiamo stare sempre con le antenne bene alzate.
Comunità di pratica
Quali sono le comunità di pratica dell’organizzazione? Siamo passati da una visione “aziendo-centrica”, tipica dei primi sistemi, ad una “individuo-centrica”, tipica del 2.0. La realtà è più complicata e oggi si è capito che la conoscenza non sta, tanto e solo, nella testa delle persone ma nei gruppi professionali e nelle comunità di pratica alle quali la persona partecipa. In questo senso il lavoro prima che tecnologico, diventa etnografico.
Ci sarebbero altre dimensioni da considerare (la dimensione del gioco, il rapporto lettori-commentatori-produttori, il ponte tra servizi 1.0 e 2.0, il design, la raccolta contenuti, i sistemi incentivanti, ecc), ma questo post si è fatto veramente lungo.
Arrivederci al prossimo convengo…
🙂