Credo che una delle cose più interessanti nell’occuparsi dell’introduzione delle nuove tecnologie di collaborazione e comunicazione in azienda sia quella di poter indagare in modo più profondo che cosa significhi realmente lavorare e collaborare oggi.
Spesso, troppo concentrati sugli aspetti realizzativi, dimentichiamo infatti che le tecnologie si collocano all’interno di ambienti che sono già di per se complessi e attraversati da pratiche, discorsi, routine, saperi.
Per fortuna, così come è cambiato il lavoro in questi anni è anche cambiato il modo di studiarlo: non più come una variabile macro-economica in relazione a grandi scenari di mercato, ma come insieme di pratiche minimali e “dense”, da indagare servendosi di nuovi strumenti e nuovi saperi.
Per poter studiare il lavoro, oggi, dobbiamo rivolgerci meno alle discipline economiche e ingegneristiche e guaradre all’etnologia, alla psicologia sociale, all’etnometodologia, all’analsi della conversazione.
E questo è il pregio del bellissimo libro di Silvia Gherardi e Attilia Bruni: “Studiare le pratiche lavorative“, edito dal Mulino. Questo breve volume sintetizza il vastissimo campo di studi che gravita attorno alle pratiche lavorative oggi (i cosiddetti workplace studies): questi studi si concentrano sull’uso del sapere, sul ruolo del corpo e della sensibilità, sul rapproto tra attori umani e ambienti tecnologicamente densi, sulle pratiche discorsive, sulla progettazione partecipata, sulle comunità di pratica, sul rapporto tra invenzione e regole, sul binomio oralità/scrittura, sull’uso e la costruzione dei contesti.
Non è solo un manuale di “nuova” sociologia del lavoro: è una finestra dalla quale finalmente possiamo vedere un panorama fino ad ora oscurato da schemi di analisi grossolani e ingenui e da criteri di valutazione meramente esteriori (la retribuzione, il grado di sicurezza contrattuale ecc).
Leggendolo si capisce come anche il lavoro di un pony express, di un operatore di call center o di un insieme di muratori sul tetti di casa possa essere un’avventura e un’impresa complessa dove entrano in gioco la sensibilità corporea, il coordinamento, la responsabilità individuale, l’uso creativo delle tecnologie, la riappropriazione delle routine, l’uso creativo del contesto, le competenze discorsive, l’uso dei propri saperi taciti. Una figata.
Tantissimi esempi e casi che mostrano come, in questo nuovo paradigma, non vi sia mai nulla di predeterminato (la tecnologia salvifica, la routine codificata ecc): vi sono solo situazioni a partire dalla quali una serie di attori trovano il modo di coordinarsi e di coordinare ciò che li circonda: un mondo nel quale dobbiamo mettere in discussione le vecchie opposizioni che fino ad oggi hanno guidato la nostra visione delle cose organizzative: individuale/collettivo, routinario/inventivo, regolato/destrutturato, intellettuale/fisico, serio/giocoso, ecc.
Ehi, è quello che facciamo tutti i giorni: ma possibile che non ce ne fossimo mai accorti?
Questo libro non vi servirà a progettare un bel niente, ma, come tutti i libri che contano vi aiuterà a guardare con occhi nuovi quello che avete sotto gli occhi tutti i giorni. E non è poco.