Ammettiamolo: la maggior parte delle volte che mettiamo in linea i nostri progetti interni ci facciamo il segno della croce e speriamo di averla imbroccata, magari rassicurati dalla certezza interiore che noi conosciamo i nostri utenti, che ragioniamo come loro, che siamo dei bravi professionisti e, in definitiva, che se le cose, in un modo o nell’altro, si sistemeranno.
Questo modo a dir poco avventuroso di trattare i progetti ha alle sue spalle ragioni profonde, le quali naturalmente non giustificano le pratiche impressionistiche che ne sono diretta – e tangibile – conseguenza, ma che aiutano a inquadrare il problema. Una di queste ragioni è ovviamente, la fretta realizzativa, che fa in genere da contraltare alla pigrizia analitica di cui soffre buona parte del management committente. Stabilire delle date “a caso” per poi costringervi il progetto a qualunque costo non è solo un segno di pessima gestione manageriale, che tende a scimmiottare il peggior marketing d’assalto, ma anche, e soprattutto, della definitiva rinuncia a qualunque aspirazione a capire effettivamente “come funziona la macchina”. In questo lago di ignoranza, su cui galleggiano presuntuosi proclami e coloratissime slide, i bisogni degli utenti sono i primi ad affondare.
Un’altra ragione delle modalità impressionistiche con cui i progetti intranet vengono portati avanti è lo spirito “dirigista” che ancora predomina in gran parte di essi; uno spirito che, mentre chiede – anzi impone – agli utenti di partecipare alla progettazione, si guarda bene dal coinvolgerli anche solo minimamente e si compiace invece di dare alle persone finalmente qualcosa di “nuovo”, come se l’effetto sorpresa dovesse magicamente sopperire alla carenza di funzionalità che solo un coinvolgimento vero avrebbe potuto rivelare. A volte qualcuno ha l’idea brillante di andare a sentire qualche utente test, scegliendolo – naturalmente – tra quelli che confermeranno le sue idee. Confortati da tale “discesa agli inferi” i progettisti andranno serenamente verso il “lancio” ovvero il giorno fatidico. E a quel punto non basteranno le tecniche di guerrilla marketing nei corridoi dell’azienda.
Una terza ragione di questo guazzabuglio progettuale risiede nella parcellizzazione dei saperi che tante organizzazioni coltivano al proprio interno e che produce fratture profonde e incomprensioni continue tra i vari attori delegati agli aspetti tecnologici, comunicativi, operativi. L’indifferenza verso lo specifico realizzativo (come deve essere fatta un’interfaccia, quale deve essere la corretta architettura informativa ecc) da parte di chi si occupa di comunicazione, e, dall’altra parte, lo snobismo di certe élite tecnologiche nei confronti degli utenti o dei reali processi operativi, produce nei fatti degli oggetti enigmatici e un’opacità di fondo regna su tutto il progetto; le persone del team, come in un film di Antonioni, parlano da sole con gli occhi nel vuoto, guardando un sito web che – probabilmente – funzionerà. Ma forse no. Una situazione collosa, che solo gli utenti, una volta che il sito è lanciato, si incaricheranno di sciogliere, lanciando noi, e il nostro progetto, dalla finestra.
Che cosa fare? Francamente vi confesso che mi sono stufato di seguire progetti facendo a testa o croce sul successo e rassicurando il management che tutto va bene perché rispetteremo i tempi in un progetto di cui non si capiscono più i contorni, non si sa a chi serva e perché, in definitiva, sia stato fatto.
Che cosa fare? C’è un solo modo per fare pulizia e per dare un senso al nostro lavoro (ma anche a quello dei committenti, in definitiva): ripartire dagli utenti. In definitiva sono loro i destinatari dei progetti, sono le loro esigenze il cuore del nostro sviluppo, sono le loro modalità di agire le milestones delle nostre release.
Molto meglio fare un brainstorming in più, girare per gli uffici, fare focus group, creare personas, (sul tema della personas ecco un’altra risorsa interessante) e mettere in gioco tutto l’apparato metodologico di analisi oggi a disposizione. Meglio perdere una settimana, un mese, meglio fare questo che dannarsi come matti intorno a obiettivi che sono solo nostri e che nulla hanno a che fare con coloro che poi, nel bene o nel male ne decreteranno il successo. O, nella maggior parte dei casi, il fallimento.