Ok, ecomi qui. Non credo di essermi ancora ripreso da questa ripresa lavorativa. Il rientro mi è venuto addosso schiaffegiandomi ripetutamente; cosa che avevo ampiamente previsto, del resto, e ciò costituisce certo una magra consolazione dato che tale puntale previsione è servita unicamente a tormentare sottilmente le mie ferie senza peraltro proteggermi dall’inevitabile.
E così, mentre dalla mia camera d’albergo a Mestre, in attesa del prossimo corso da tenere, rifletto sulle tante variabili da trasformare in costanti attraverso il sapiente lavorio e la paziente pianificazione, mentre il trasloco nella mia nuova casa incombe con le sue innumerevoli necessità, mentre il pensiero sugli anni che passano e su quanto le abitudini si siano trasformate in una sorta di destino senza aura alcuna – quall’aura che tutte le cose avevano prima di trasformarsi in cose, – mentre questo pensiero diventa sempre più segreto, e illegittimo (ok, adesso finisco la frase, ve lo prometto, ma ho giurato a Philiph Roth che gli avrei fatto un omaggio, e questa era l’occasione, grazie Philiph anche se so bene che non potrò mai competere con le tue sublimi subordinate), insomma in tutto questo tiraemmolla tra meccanica e desiderio (e desideri meccanici) mi torna in mente che una delle soddisfazioni più grandi di questa estate è stato aver finito – in tre giorni – La voce e il fenomeno di Derrida, riuscendo anche a seguire per la gran parte il filo del ragionamento. In realtà è stato un regalo che ho voluto fare al ragazzo che ero.
Ora, per non lasciare che questo post di rientro deragli fatalmente, voglio segnalarvi una cosa a mio parere interessante che riguarda i processi di collaborazione e che ho pescato grazie all’ultimo report di Nielsen dedicato, guarda un po’, ai social network interni.
Nielsen cita un video di Andrew Mcafee nel quale il professiore distingue 4 situazioni possibili relativamente ai lagami tra dipendenti all’interno dell’organizzazione. McAfee distingue tra legami forti (i colleghi di stanza, il capo, il team ecc), legami deboli (progetti occasionali, rapporti saltuari ecc), legami potenziali (legami ancora non presenti che che potrebbero svilupparsi) e assenza di legami, identificando per ciascuna situazione degli strumenti tipici (anche se credo ci siano, su questo punto, ampie sovrapposizioni e integrazioni possibili).
Ho schematizzato la cosa in questo disegno (ripreso dal video)
Trovo questa distinzione molto intelligente ma soprattutto molto utile nell’identificare il campo di lavoro possible all’interno delle aziende. Spesso nei progetti intranet di nuova generazione si hanno in mente cose diverse quando si discute di “collaborazione”, e questo avviene perché si ha in mente uno specifico tipo di legami da supportare.
Perché è ovvio che nelle organizzazioni sono sempre presenti *tutte* queste situazioni, ma per realizzare degli obiettivi specifici dobiamo sempre capire a chi ci rivolgiamo e – soprattutto – ipotizzare come si comporterà in una data situazione.
Per inciso, rilevo che questa distinzione non si sovrappone a quella di “Comunità di pratica” di E. Wenger: una comunià di pratica può infatti avere legami forti, deboli, potenziali e anche, paradossalmente, conservare “in figura” anche un’assenza di legami (ad esempio il gruppo di operatori che “non ha mai visto la dirigenza”).
ok, eccovi il video.