Bertrand Duperrin torna a parlare delle molte virtù del micro-blogging interno e io lo segnalo volentieri perché questa cosa degli aggiornamenti di stato per fare domande e ricevere risposte tecniche all’interno di un’impresa mi sembra l’utilizzo più interessante e promettente.
Bertand parla esplicitamente di questo uso attraverso la metafora del messaggio nella bottiglia. Riporto un brano del post:
One of the best use of these new tools and practices is “bottle in the sea”. The famous “who knows ? Who has any information about ?”. Notice that there are also implicit bottles, those we don’t throw consciously and that are in every status update, despite of us. For instance when we say “going to meet such prospect”, we don’t expect anything back. But someone can answer “I know them well / I already worked on similar cases / etc…”. In brief, a status update can also be seen as an implicit question, adressing the sphere of the “unknown unknown” that sounded quite funny in Rumsfeld’s mouth but that is not so far from our concerns.
Secondo Bertrand questo approccio alla gestione conoscenza funziona bene per le informazioni strutturate e codificate (e quindi meglio trasmissibili), ma per le quali le persone non hanno idea di dove andare a pescarle.
In this case, if search is too tedious, or if I ignore the very existence of the tools that may help me, I need one of my peers to direct me to this information which existence and location he knows.
L’unico problema è questo: e le se persone non sono disponibili? Ovvio che il bel sistemone informativo è sempre a disposizione mentre i colleghi che sanno la risposta no. Eppure tutto questo discorso non mi convince; in fondo i sistemi informativi non sono sempre disponibili e anche quando lo sono non sempre hanno la risposta.
E’ ovvio che siamo in genere molto più disponibili ad affidarci a tali sistemi piuttosto che ad un sistema di reti di colleghi informale, perché ovviamente su di essi ricadono aspettative – retoriche – di affidabilità, serietà, disponibilità eccetera. Tutte le caratteristiche che cerchiamo invano negli esseri umani.
Ma tutta questa discussione ci manda fuori strada perché si basa su alternative fittizie che vengono contrapposte artificialmente. O i sistemi o le persone, o le informazioni strutturate o i consigli informali, o l’evanescenza del real time o la permanenza dei manuali e delle procedure.
Ma se osserviamo come interagiscono le persone nella loro attività quotidiana e che uso fanno delle risorse a loro disposizione ci accorgiamo che queste alternative di fatto collassano l’una nell’altra. Provate ad osservare da vicino un pony express, un muratore sul tetto, un tranviere, una commessa dei grandi magazzini, un operatore di call center, un funzionario di banca: vi accorgerete che ciascuno di loro fa un suo continuo e mescolato di risorse cognitive personali, valutazioni ambientali, interazioni coi colleghi, uso di tecnologie strutturate, uso di tecnologie di comunicazione, procedure codificate, soluzioni non codificate.
Quello che le persone hanno a disposizione è in genere un vero e proprio ecosistema, di cui ovviamente il micro-blogging può (o no) rappresentare un elemento. Ed è bene che questo ecosistema, come tutti gli ecosistemi, sia sufficientemente ricco per permettere lo sviluppo e la salute dei suoi partecipanti.
I nuovi media non sostituiscono i vecchi media, le nuove procedure convivono con le vecchie, i vincoli e le possibilità di un nuovo ambiente si mescolano con le conoscenze pregresse delle persone che lo abitano. A volte il micro blogging funzionerà, a volte no, a volte i sistemi di incepperanno e a volte andranno alla grande, a volte il collega di stanza di manderà a cagare e a volte invece sarà disponibile.
L’importante è che la bio diversità cognitiva e le possibilità a disposizione tendano ad arricchirsi. E allora anche i messaggi nella bottiglia avranno un loro senso, al di là delle – sempre perdenti – aspettative magiche.