Devo dire che nell’intenso dibattito – permanente – su enterprise 2.0 e intranet innovative, un dibattito attraversato da momenti di euforia, ripensamenti, grandi intuizioni e prosaici casi di studio, ci scontriamo con un autentico diluvio di modelli interpretativi e tentativi di cogliere astrattamente in un tutto l’insieme di dinamiche che queste nuove tendenze e questo insieme di tecnologie abilità.
La cosa è piuttosto divertente e il risultato assomiglia ad un collage di visioni che nel momento in cui si legittimano (poiché ognuna di essere ha dalla sua un bel po’ di evidenza empirica) contribuiscono a dipingere un quadro ancora davvero acerbo del fenomeno. Siamo tutti alla ricerca del nostro modello definitivo e della nostra narrazione unificante, anche se questa non si lascia ancora cogliere pienamente.
Nel frattempo accontentiamoci di frammenti di sistema: il primo, certamente già molto famoso e con un grande potenziale davanti a sé, è quello di Andrew McCafe, che cerca di dividere il territorio delle relazioni aziendali (Ricordate? Rapporti forti, deboli, potenziali, assenti).
Recentemente Andrew ha sottolineato come, secondo lui, gli strumenti dell’enterpse 2.0 diano i loro più grandi benefici negli anelli esterni di questo “bersaglio”.
Un secondo modello interessante è quello proposto da Bryan Menell, di Thoughtfarmer; Bryan racconta come nella definizione dei processi di user centred design per la loro intranet abbia utilizzato un modello che richiama la prossemica di Edward T. Hall. Il risultato è una definizione dell’ambiente intranet che va dalla persona all’ecosistema aziendale.
L’articolo è interessante anche per un altro motivo, ovvero perché propone un approccio alla personalizzazione degli ambienti che bypassa l’alternativa tra la personalizzazione totale da parte dell’utente (strategia su cui più di uno specialista ha qualche dubbio) e controllo centralizzato della home page (Un tema che molti, naturalmente, affrontano a modo loro, dai saggi consigli di Jane McConnell all’approccio darwinista di Stephan Schillerwein).
Vorrei provare a dare, in questo senso un mio contributo a questa intensa battaglia combattuta a colpi di schemi, diagrammi, freccioni e bersagli: il mio schema parte dal fatto che ogni ambiente intranet di nuova generazione supporta il lavoro dei singoli, ma lo supporta e lo segue nelle diverse situazioni sociali in cui sono impegnati in azienda:
– Supporta me in quanto lavoratore
– Supporta me in quanto appartenente a un dipartimento
– Supporta me in quanto appartenente a un team di progetto
– Supporta me in quanto appartenente ad una community (di pratica o di interesse)
– Supporta me in quanto appartenente ad un ecosistema di informazioni aziendali
Nelle diverse situazioni, ovviamente, cambiano i contenuti, i servizi, le funzionalità; ma anche l’impegno che mediamente è richiesto (sulla questione dell’impegno diversificato vi consiglio questo post di B. Duperrin, molto illuminante) il tipo di contributo che le persone danno (lavorare è diverso da collaborare che è diverso da condividere che è diverso da contribuire). Anche l’uso della mail, da sempre cartina di tornasole delle attività svolte in azienda, tende a diminuire man mano che si passa dall’uso individuale a quello “sociale”.
E’ importante, a mio parere, che ragioniamo sempre in termini di usi prevalenti e che pensiamo in quale contesto d’uso (più individuale o più sociale) si inseriscono le nostre applicazioni. Perché dobbiamo pensare che cambiano gli scopi, i tempi di utilizzo ma soprattutto l’impegno che la situazione (la situazione, non la tecnologia) richiede.
Che ne pensate?