Un paio di segnalazioni, credo molto interessanti, mi danno modo di parlare di un tema che, in questi giorni di smart working “spintaneo” per molte persone, credo sia pertinente.
Io ho iniziato a lavorare da casa nel 2006, dopo essermi licenziato da Alcatraz, e non è stata una passeggiata. Stavo con due schermi nell’ingresso di casa mia, il tavolo era troppo stretto (come si vede nella foto) e ogni giorno dovevo motivarmi da solo.
C’era un po’ di solitudine, a volte anche un senso di abbandono, peraltro lo spazio era senza finestre, eravamo insomma molto lontani dall’idea agiografica del freelance (ne ho parlato nel 2010 in un post che è stato molto letto).
E allora qual è la situazione, al di là delle facili euforie che questo tema suscita in chi è costretto a timbrare il cartellino tutti i giorni?
Ci vengono in aiuto due indagini recenti. La prima è intitolata Lo stato del lavoro remoto 2020.
La ricerca è promossa da remote.Tools, una directory di tool per supportare il lavoro da remoto, directory peraltro molto interessante (promossa a sua volta da Flexiple, un marketplace di Freelance).
I risultati di questa indagine, svolta su 331 lavoratori da remoto (tra freelance e impiegati in azienda) sono i seguenti:
Riguardo al tema del rapporto lavoro-vita privata mi sembra di aver capito, anche facendo appello alla mia lunga vita da freelance successiva alla mia altrettanto lunga vita da dipendente, che così come si può scivolare lentamente nell’alcolismo, così si può scivolare, giorno dopo giorno, in una condizione di vita-lavoro senza confini che è forse l’aspetto più tangibile dell’attuale fase del capitalismo.
Un’altra cosa interessante della ricerca riguarda la coesione sociale e cosa la favorisce: il 34% dei rispondenti dichiara che il miglior metodo è creare canali digitali di scambi informali (ci avreste scommesso? Io no).
Ecco a tal proposito una citazione sul tema dei canali slack informali, presa dal report:
An aspect which helps people bond with each other is common interests. Building slack channels that cater to specific interests where people can interact with others sharing similar passions helps them to get to know one-another, while adding an extra dimension to their workday. In our survey, 34% of our respondents shared that such dedicated channels were the easiest and probably the best method to build culture.
“…things we have done where we find success at Invision and in my own team are: Channels in slack where people have certain interests. We have got about a few hundred at this point from cryptocurrency to NBA…..That’s actually how you can really have a like a socialisation of certain themes and things that you are interested in with other co-workers.
Scott Hanford, Director of Customer Acquisition at Invision
Vi suggerisco, nello stesso report, di dare un’occhiata anche ai consigli su come gestire un team remoto, e mi sembra che di questi tempi ce ne sia un gran bisogno.
I consigli riguardano 4 aree e svariate sotto-aree:
Ben più consistente la ricerca di Buffer sul lavoro remoto nel 2020. Questa survey ha coinvolto 3521 lavoratori da remoto, per lo più in Stati Uniti (47%) ma anche in Italia (1,1%, ovvero circa 35 rispondenti).
Anche in questo caso gli aspetti ritenuti positivi e quelli ritenuti negativi sono simili alla ricerca precedente.
Ed ecco gli insight più rilevanti della ricerca
Credo che tutto questo ci dica quantomeno che siamo ancora molto lontani dall’aver trovato la formula magica che bilancia vantaggi e svantaggi del lavoro da remoto.
Quello che è certo è che dobbiamo tenerci lontani dagli impostori dell’euforia e della disillusione, perché lì non c’è mai la verità.
Sperimentiamo, andiamo avanti, non smettiamo di cercare i giusti tool, studiamo le migliori pratiche, non fermiamoci ai primi ostacoli, che certo ci saranno e proviamo a trovare il giusto equilibrio.
E’ il momento giusto per farlo.