In questi tempi fa piacere trovare (e segnalare) delle voci fuori dal coro, e il coro si sta facendo assai assordante.
E’ quindi con vero interesse che vi segnalo uno degli ultimi contributi pubblicati su sempre ottimo Boxes and arrows.
Il titolo dell’articolo di (Alexander Wilms) ha un titolo già di per se significativo: The Trouble With Web 2.0. Can it work for the large enterprise? e credo riassuma con una certa arguzia una serie di questioni problematiche che il 2.0 si porta dietro quando si cerca di importarlo nelle organizzazioni.
Alex usa come base di partenza le affermazioni contenute nell’articolo originale di O’reilly e, in sintesi, le questioni che solleva sono queste:
– Difficoltà, nel “web come piattaforma”, a misurare la spesa pro capite per l’erogazione dei servizi interni.
– Difficoltà ad importare la logica del “mash up” con fonti di dati eterogenee, a diverso livello di riservatezza e con owner interni molto diversi.
– Difficoltà a raggiungere quella massa critica di contributori che fa la vera differenza tra un servizio 2.0 che funziona e uno che non funziona. Bassa priorità nelle organizzazioni alle attività di sharing da parte del personale.
– Difficoltà ad individuare dei driver psicologici o delle motivazioni esterne/interne per condividere e pubblicare contenuti (su questo punto, personalmente, dissento da Alex).
– Difficoltà, nel blog interni ad equilibrare correttamente logica della libera espressività e logica di governance.
– Difficoltà, nei wiki interni, a fruire di particolari tipi di informazioni che richiedono un tipo di publishing, fruizione e classificazione di diverso tipo.
– Difficoltà ad utilizzare il modello del “perpetual beta” che vale per i siti 2.0.
Credo comunque che tutte queste osservazioni siano in parte superabili con un approccio attento e soprattutto equilibrato.
Concludo citando la parte finale dell’articolo, che vi consiglio caldamente di leggere.
The most important and most simple is that corporate behaviours and processes are not changed just by implementing a new IT service. Installing a blog in a formal and hierarchical corporate culture will not change the company in an open and informal community.
Web 2.0 patterns will only work if the corporate and even national culture is already responsive to more collaboration and participation or if the implementation is accompanied by other measures to support cultural change. Creating and holding up motivation of users to contribute, seemingly no problem in the WWW with a billion users will be one of the success factors.
So corporate Web 2.0 implementation projects have to broaden their scope, have to add structural and cultural change or process redesign to their charter. And those “soft” topics tend not to have easy solutions. So when your IT department or an external consultant excitedly tells you about how they are adding “Web 2.0” to the corporate computing environment: be prepared for a difficult birthing process and adjusting your expectations.