Si è parlato un po’ nei giorni scorsi, della decisione di Thierry Breton, Amministratore delegato di Atos, di dichiarare guerra alle email interne (è uscito qualcosa anche in italiano): le email infatti ( ma guarda un po’, verrebbe da dire) fanno perdere un sacco di tempo tempo agli impiegati, sia nelle attività di gestione sia nella separazione di quelle utili da quelle – troppe – inutili.
Il tema ha una solida storia alle spalle, oltre ad appoggiarsi al vissuto quotidiano di ciascuno di noi. Non sono mancate le reazioni alla notizia, e in particolare mi ha colpito quella di Brian Prentice, di Gartner, alquanto pessimista a riguardo: la policy “zero mail”, dice l’analista, fallirà. Perché? il problema nella maggior parte delle aziende non riguarda la quantità di email, ma il peso degli adempimenti ad esse connessi.
Oggi, dice, le email rappresentano solo la parte visibile della serie di attività assegnate a ciascuno di noi, attività per lo più burocratiche e inutili, ma che reclamano comunque una risposta. Il problema si sposta quindi dalla manifestazione visibile (le email) alla sua causa latente: l’eccessiva burocratizzazione di alcuni processi, anche tecnologici (ad esempio CRM).
Sono contento di questo articolo, come di tutte le posizioni che fanno fare passi in avanti ad un tema rimettendo in discussione quello che sembrava assodato (e come sapete rimettere in movimento concetti che sembravano solidi e distinti è il compito principale che Hegel assegna alla filosofia), ovvero che le email sono il male assoluto da combattere.
Tuttavia le osservazioni di Prentice colgono solo un aspetto del fenomeno, ovvero le email legate al coordinamento direzionale: “fai questo e quest’altro”. Purtroppo l’universo dei messaggi che ci scambiamo in azienda è più vasto di questo sottoinsieme, e la parte eccedente, guarda caso, è proprio quella che ci crea più problemi: scambio documenti, archivio discussioni, verbalizzazioni, insomma conoscenze.
Ed è su questo aspetto, guarda caso, che i progetti intranet cercano di incidere. Su questo aspetto vi invito a leggere il bel post di Wedge, che elenca gli errori tipici dell’uso delle email in questo senso.