Oggi mentre gli uccellini domenicali cinguettano fuori dalla mia finestra (Roma, Roma…), un passo (un po’ lungo, ma ne vale la pena..) di Roth sul mistero degli altri, e sulla condanna (tragica) di non capirli mai ed essere sempre costretto a tentare comunque di farlo. Ringrazio Fausta, per aver estratto questo passo dal mio flusso di lettura, in questo modo restituendomelo.
Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze e di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici o corazze spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di venute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che noi ogni giorno mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento esame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di avere ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite…Beh, siete fortunati.
P. Roth – Pastorale americana – Einaudi